La società post-civile
Che cos'è la società post-civile?
Nella Storia il concetto della società civile ha conosciuto un'evoluzione molteplice. Nel Rinascimento fu opposto al concetto di società naturale, nel senso di un ordine sociale organizzato e superiore, perché civilizzato e razionale. Il filosofo inglese Locke vi includeva lo Stato e per Adam Smith si trattava di tutto ciò che era socialmente costruito, ivi compreso il Mercato e lo Stato. Per Hegel era lo spazio sociale situato tra famiglia da un lato e lo Stato dall'altro. Marx, alienando e rovesciando l'Idealismo di Hegel, pervenne a una definizione di società civile in qualità d'insieme dei rapporti sociali, con i rapporti economici in posizione di preminenza e capaci di condizionare tutti gli altri rapporti possibili. Per Antonio Gramsci, infine, l'insieme dei rapporti sociali sono sì influenzati dai rapporti economici, ma nella sovrastruttura di Gramsci al di sopra dell'economia esistono due ordini di realtà, diversi e relativamente indipendenti: la società politica da una parte, e dall'altra la società civile costituita da istituzioni che inquadrano gli individui creando per loro formazione scolastica, culturale, ruoli lavorativi e sociali, con l'obiettivo di produrre un consenso sia a favore dei rapporti economici esistenti che della società politica dominante - queste istituzioni operanti (e costituenti) la società civile, per il filosofo italiano sono apparati ideologici: scuola, chiesa,
media di comunicazione... È chiaro come quest'ultima concezione della società civile, proviene dalla rilettura di Machiavelli da parte di Gramsci, attraverso la quale è riuscito a colmare lo spazio fino ad allora lasciato vuoto tra Principe e Mercanti, ossia tra lo Stato e il Mercato.
La concezione borghese della società civile.
La Borghesia valorizza la società civile come un elemento essenziale della sua strategia di classe. Essa è il luogo dello sviluppo delle potenzialità dell'individuo e dunque lo spazio dell'esercizio delle libertà. Ora, tra queste, la principale è libertà di impresa, considerata del resto come la fonte di tutte le altre libertà. È l'impresa, quindi, il perno della società civile. Si devono articolare attorno a essa le grandi istituzioni a carattere ideologico per la riproduzione sociale: la scuola, le religioni, i
media, come l'insieme del settore non commerciale (servizi pubblici) e soprattutto le organizzazioni volontarie destinate a supplire alle carenze del sistema. In questa prospettiva, il ruolo dello Stato è limitato alla fornitura del quadro giuridico sufficiente per garantire la proprietà privata e il libero esercizio di intrapresa, per assicurare il funzionamento della riproduzione sociale (insegnamento, salute...) e proteggere gli individui. Tutto ciò è descrivibile parlando di tre mani: la mano invisibile del Mercato, quella dello Stato destinata a garantire le regole del gioco e quella della carità che si occupa di quelli fuori dal sistema.
L'implacabile logica di questo pensiero si ricollega a quella dell'economia capitalistica di mercato. Infatti, per quest'ultima il mercato è un fatto naturale e non un rapporto socialmente determinato. Bisogna garantirne soprattutto il funzionamento nella più grande libertà possibile, senza ostacoli da parte dello Stato, e in funzione di un'etica rigorosa, cosa che permetterà al mercato di riempire al meglio la funzione di regolatore universale delle attività inter-umane. Non è necessario ricorrere a nessuna teoria del complotto, per spiegare questo fenomeno. La questione è più grave. Si tratta di una logica che invade il cuore e lo spirito delle persone più rispettabili.
Ma il mercato non è dissociabile dalla produzione, poiché sono beni e servizi che si scambiano. Ora, nel caso dell'economia capitalistica, i rapporti sociali di produzione stabiliscono un legame di classe, sottomesso inesorabilmente alla legge della competività. Allora, nella concezione borghese, rinforzare la società civile significa favorire la libertà di intrapresa, dinamizzare gli attori sociali imprenditoriali, ridurre lo spazio dello Stato e alla fine riprodurre il rapporto sociale che assicura una superiorità di classe, oggi globalizzata. Come il rapporto sociale, così quello di produzione e quello di scambio (il mercato) sono naturali, non ci sono alternative. Ne risulta una strategia molto coerente nei confronti della società civile. Si tratta di mettere a valore la rete di istituzioni che ne fanno la trama: gli apparati ideologici e le organizzazioni volontarie, offrendogli uno statuto privato. Ciò permette di canalizzare in maniera istituzionale la domanda sociale dei gruppi e delle classi fragili e di frammentarli. È relativamente facile cooptare alcune organizzazioni volontarie, religiose o laiche, soprattutto nelle azioni di sollievo della povertà.
Gli effetti dell'entrata in scena di questa concezione della società civile sono notevoli. Siccome il mercato diventa la regola universale del funzionamento dei rapporti umani, definisce non solo il panorama dei consumi, ma anche il terreno culturale. Ne risultano una serie di spostamenti del politico verso il mercato, dello sviluppo verso la crescita, del cittadino verso l'individuo consumatore, dell'impegno politico verso i referenti istituzionali culturali (etnia, genere, religione,...). La società civile si spoliticizza, perché di fronte al mercato, la politica diventa sempre più virtuale. Alcuni movimenti sociali cercano esclusivamente nel proprio terreno, in rottura con la tradizione politica. Certe ONG sviluppano un'ideologia accanitamente anti-statale. I movimenti religiosi centrati sulla salvezza individuale e svuotati di protezione sociale si moltiplicano. Dunque, bisogna essere coscienti di ciò che significa la società civile nella concezione borghese. La similitudine del vocabolario non deve creare illusioni.
La concezione ingenua o angelica della società civile
.In questa prospettiva la società civile è composta dalle organizzazioni generate di solito da gruppi sociali fragili nella società attuale, da ONG, dal settore
no-profit dell'economia e da istituzioni di interesse comune, educativo e di salute. È una sorta di terzo settore, accanto allo Stato, autonomo e suscettibile di fare da contrappeso. In una parola, si tratta dell'organizzazione dei cittadini, di tutti quelli che vogliono il bene e che desiderano cambiare il corso delle cose in un mondo di ingiustizia. Certo, le finalità perseguite dai componenti della società civile, in questo quadro di pensiero, rispondono a veri bisogni, ma questa concezione non sfocia in un altro ordine di rapporti sociali. È come se la società fosse composta da un ammasso di individui raggruppati in strati sovrapposti che rivendicano un posto equo in seno a essa, senza per questo riconoscere esplicitamente l'esistenza dei rapporti sociali creati dall'organizzazione capitalistica dell'economia, la cui riproduzione è indispensabile al loro mantenimento.
Un tale concetto di società civile permette di portare avanti delle lotte sociali e contribuisce alla denuncia degli abusi del sistema, ma non finisce in una critica della sua logica. Per questa ragione, diventa facilmente ricettacolo di ideologie anti-stataliste, interclassiste, culturaliste, utopiche nel senso negativo del termine e pur manifestando il desiderio di cambiare i paradigmi della società, a lungo termine è inefficace. Per alcuni versi, incrocia senza saperlo la concezione borghese della società civile e per ciò le istituzioni che condividono questa visione della società civile sono oggetto così facilmente di cooptazioni da parte delle multinazionali, della Banca mondiale o del Fondo monetario internazionale.
La concezione analitica e popolare della società civile
La parola analitica significa qui una lettura della società civile in termini di rapporti sociali, cosa che per se stessa è già un atto politico. Significa infatti che è un luogo dove si costruiscono le disuguaglianze sociali e che esiste all'interno delle istituzioni e delle organizzazioni che rappresentano gli interessi di classi molto divergenti. Non basterà cambiare i cuori per trasformare automaticamente le società, anche se un passo in questa direzione è importante.
Senza dubbio, i rapporti sociali del capitalismo non sono più gli stessi del diciannovesimo secolo europeo e ciò comporta effetti significativi sulla società civile. I rapporti diretti Capitale/Lavoro sono deregolamentati dall'orientamento neoliberista dell'economia. Benché ciò non valga per tutte le società del Sud, l'insieme delle popolazioni è integrato indirettamente nel capitalismo attraverso i meccanismi macro-economici delle politiche monetarie, del debito, del prezzo delle materie prime. Le nuove tecnologie, la concentrazione delle imprese, la globalizzazione del mercato, la volatilità del capitale finanziario e diversi altri aspetti contemporanei del sistema economico, non hanno rotto di certo la logica del capitalismo, ma hanno contribuito a diffonderne gli effetti nello spazio e a ripartirli diversamente nel tempo. Esistono sempre meno frontiere per il capitale e le protezioni sociali resistono con difficoltà ai poteri di decisione che sfuggono agli Stati, mentre le loro conseguenze sociali si dispiegano su lunghi periodi.
Il rapporto sociale di sfruttamento del capitalismo è diventato meno visibile, perché più diffuso e ciò tocca le modalità delle lotte rispondenti, dei lavoratori che si definiscono prima di tutto come consumatori, dei gruppi sociali marginalizzati dal sistema economico che reagiscono in funzione delle apparenze di casta (i dalits in India), di etnia, di genere, senza nessun legame con le logiche economiche che sono l'origine della loro precarietà. Le lotte specifiche si moltiplicano, ma la maggior parte delle volte restano frammentate geograficamente o settorialmente, di fronte a un avversario sempre più concentrato.
Dunque, la società civile è modellata dal mercato nei rapporti ineguali. Lo spazio pubblico è invaso dalle forze economiche. I gruppi dominanti agiscono globalmente utilizzando gli Stati, non per ridistribuire la ricchezza e proteggere i più deboli, ma per controllare le popolazioni (migranti, movimenti sociali, società civile popolare) e servire il mercato. I meccanismi sono diversi e spesso progressivi, vanno dalle politiche monetarie ai trattati di libero scambio, dalle riforme giuridiche a quelle dell'insegnamento, dalla privatizzazione della sicurezza sociale a quella dei servizi sanitari, dalla diminuzione dei sussidi per la ricerca sociale a quella dei finanziamenti alle organizzazioni popolari, dalla soppressione della pubblicità alla stampa di sinistra al controllo delle comunicazioni telefoniche, da un indebolimento dei settori progressisti delle istituzioni religiose ad una messa sotto tutela delle ONG. In breve, da parte del mercato, un allineamento e un addomesticamento dello Stato e degli organi dell'ONU e un controllo della società civile, di cui il dinamismo e la pluralità sono ammessi e incoraggiati a patto che non rimettano in discussione in modo efficace il rapporto sociale capitalistico.
Quale società civile, quale spazio pubblico, quali alternative?
L'importanza degli avvenimenti che viviamo non deve farci dimenticare la storia. I movimenti sociali non sono nati ieri. Le resistenze al capitalismo, al colonialismo, alle guerre di conquista dei mercati, seminano la storia dei popoli. Il movimento operaio si è imposto come un paradigma delle lotte da quasi due secoli. Le rivolte contadine hanno scosso molte società, soprattutto nel momento dell'introduzione del capitalismo agrario. Innumerevoli popoli indigeni, chiamati oggi le prime nazioni, si sono opposti oggi alla loro distruzione culturale o fisica sotto i colpi dell'espansione mercantile o della conquista del loro territorio. I movimenti femministi, fin dal ventesimo secolo, hanno reagito di fronte al carattere specifico dello sfruttamento delle donne sul lavoro e alla loro esclusione dalla cittadinanza. Allora quali sono state le novità?
Un primo elemento nuovo è l'apparizione nel panorama delle resistenze dei movimenti ecologisti. La distruzione dell'ambiente naturale prodotta da un rapporto commerciale con la natura, per nulla frenato da un socialismo che ha definito molto velocemente i suoi obiettivi in funzione dello sviluppo delle forze produttive per recuperare il capitalismo, e aggravata considerevolmente negli ultimi trent'anni durante la fase neoliberista dell'accumulazione capitalistica, ha provocato numerose reazioni. Sempre più persone, propongono il legame tra logica economica e problemi ecologici.
Durante la guerra fredda, si sono avuti numerosi movimenti pacifisti. Collegati alle tradizioni antimilitariste nate fin dalla fine del diciannovesimo secolo, hanno conosciuto una certa stagnazione perché i conflitti si sono localizzati al di fuori dei grandi centri della globalizzazione, ma avvenimenti come la guerra del Golfo, quella del Kosovo, o quella dell'Afghanistan hanno ravvivavo le memorie e ricordato che l'imperialismo economico non può fare a meno di un braccio armato, che si chiami NATO o
Plan Colombia.
La moltiplicazione delle ONG, spesso è un termine nuovo per realtà pre-esistenti, che ricompongono una nebulosa di organizzazioni originate dalla società civile, è un'ulteriore caratteristica dei nostri tempi. La loro realtà è ibrida e ambivalente, da quelle promosse direttamente dal sistema dominante, fino a quelle che si fanno docilmente strumentalizzare, passando quelle che si identificano con le lotte sociali ed esprimono solidarietà Nord-Sud.
“Vecchi movimenti sociali” di carattere sindacale o politico, “nuovi movimenti“ definiti da obiettivi che superano i rapporti di classe (donne, popoli indigeni, la pace, la difesa dell'ambiente, l'identità culturale...) pure essendovi inevitabilmente ancorati, le ONG; tutto ciò costituisce una vera profusione di iniziative in cui è talvolta difficile ritrovarsi. Tuttavia, perché la società civile dal basso possa agire efficacemente, sia a livello di ogni nazione che sul piano mondiale, occorrono criteri di analisi e di giudizio per agire efficacemente.
Il pensiero postmoderno si trova molto a suo agio in questa situazione, interpretandola come la fine di ciò che si definiscono, assimilando lo studio delle società alla linguistica: “le grandi narrazioni”, ovvero la fine dei sistemi e delle grandi strutture delle spiegazioni d'insieme. Tutto ciò è sostituito dalla storia immediata, dall'intervento diretto dell'individuo sul suo ambiente naturale, dalla moltiplicazione dei piccoli “racconti”, cioè dalle iniziative dei singoli. Per reazione (legittima) contro una modernità prometeica o un ragionamento totalizzante, si cade in una lettura atomizzata della realtà come esplosa, inspiegabile nella sua genesi, insignificante rispetto a un insieme storico o presente; in breve una società civile che è la somma di movimenti e di organizzazioni la cui semplice molteplicità basterebbe a contestare un ordine totalitario di natura politica o economica. Una fortuna per il capitalismo globalizzato, che è riuscito a costruire le basi materiali della sua globalizzazione come sistema grazie alle tecnologie della comunicazione e dell'informatica, vedere svilupparsi un'ideologia che annuncia la fine dei sistemi. Niente potrebbe essergli più funzionale. Per quanto sia fondamentale, la critica della modernità (quella veicolata dal capitalismo) e il contributo del postmodernismo non possono aiutarci in alcun modo ad analizzare a società civile contemporanea né soprattutto contribuire a renderla risorsa di resistenze e lotte efficaci. La frammentazione di queste ultime dipende al tempo stesso dalle conseguenze e dalle strategie del sistema capitalistico.
Il criterio di analisi delle molteplici componenti della società civile dal basso può essere solamente il loro carattere antisistemico, o la misura in cui ciascuna di esse, movimenti sociali od organizzazioni non governative, contribuiscono a rimettere in discussione nel campo che li è proprio la logica del sistema capitalistico. Ciò suppone la capacità di ricollocare il pensiero e l'azione specifica in un quadro generale. Si tratta di comprendere in che modo i contadini senza terra sono più che mai esclusi quando il suolo diventa un capitale, perché i popoli indigeni sono le prime vittime dei programmi di aggiustamento strutturale, perché le donne portano il peso di una povertà che aggrava i rapporti patriarcali. Bisogna potere contrastare che le classi medie sono rese più fragili dalle politiche monetarie e dalle transazioni finanziarie speculative, che l'organizzazione della sanità diventa fatiscente con la mercificazione del settore, che i bambini sono cacciati dalle scuole a causa della concezione elitaria dell'insegnamento, che una politica sociale è impossibile grazie al peso del debito estero. È necessario scoprire che le culture sono schiacciate da un'americanizzazione sistematica, che numerosi mezzi di comunicazione sono addomesticati dagli interessi economici, che i ricercatori sono limitati dalle esigenze di redditività, che l'arte è ridotta al suo valore di scambio, che l'agricoltura è dominata dalle multinazionali della chimica o dell'agrobusiness e che l'ambiente naturale si degrada esclusivamente sotto l'effetto di uno sviluppo definito in termini di crescita. Ora, tutto ciò deriva, in un modo o nell'altro, dall'appropriazione della ricchezza legata alla logica del mercato capitalistico.
Da qui l'esigenza per i movimenti e le organizzazioni della società civile dal basso di delegittimare il sistema economico dominante. Non si tratta difatti, solamente di condannare i suoi abusi, cosa che fanno le istituzioni etiche come le Chiese cristiane o i portavoce delle grandi religioni, ma anche alcuni protagonisti del sistema che comprendono l'utilità di queste pratiche che mettono in pericolo la stessa economia capitalistica. Bisogna denunciare la logica con cui si costruisce e le sue pratiche, che terminano necessariamente su delle contraddizioni sociali, peggiori, sull'impossibilità di rispondere alle funzioni essenziali dell'economia, cioè assicurare le basi materiali necessarie alla vita fisica e culturale di tutta l'umanità.
Infine, è necessario mettersi alla ricerca di alternative. Non dei palliativi che possono a breve termine alleggerire situazioni di miseria, né delle misure irrealistiche che danno l'illusione di uscire da un sistema che, come le liane delle foreste tropicali, ricresce in una o due stagioni. Neanche delle alternative all'interno del sistema, come la ”terza via”, così apprezzata negli ambienti riformisti che inseguono l'illusione di umanizzare il capitalismo. Ma in funzione della conquista di un'organizzazione postcapitalistica dell'economia; di sicuro un progetto a lungo termine, ma indispensabile da definire e che, al tempo stesso, comprende una dimensione utopica (il tipo di società che si vuole costruire), dei progetti a medio termine e degli obiettivi a breve la cui elaborazione è compirto della società civile dal basso.
Rupert Gang