venerdì 3 aprile 2020

«Le Frighe»; racconto

«Quanto tempo è passato da quando scrissi "Le Frighe", senza farci un soldo o fama come al solito. Olga sarà sempre quel fenomeno che era allora senza essere invecchiata o toccata da nessuna delle varie catastrofi che si sono infilate in sequenza. Le milfone come lei sono eterne e selvagge... e un poco mi manca. Chi? Olga? No, quella vita in cui andavo in giro a non fare niente. Mi manca di già».
R. Gang.

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domenica 15 marzo 2020

L'Apocalittica e il Disgregato

Il pdf lo trovate -qui- e lo scaricate a solo un euro, una piccola donazione in questi tempi difficili




 

mercoledì 24 ottobre 2018

Geometrie, Architetture -= estratto del capitolo I =-

Questa roba non è adatta ai bambini, ai moralisti della famiglia tradizionale, a chi ha la mente stretta e poco capiente, e anche a quelli a cui non piacciono le cose davvero forti e strane.













Chi vuole questa chicca per sé, può scaricarsi il PDF da Patreon a solo un euro uno!

mercoledì 27 giugno 2018

la costruzione sociale della povertà

Dal Medioevo all'età industriale, i poveri sono stati al tempo stesso esaltati e scherniti, associati alla virtù e al crimine, assistiti e rinchiusi, vittime e colpevoli. Hanno  incarnato la speranza e sono stati stigmatizzati come classi pericolose. Negli studi più recenti le cause della povertà sono confuse con i suoi sintomi, le analisi economiche e sociali non hanno fatto scomparire le spiegazioni individuali e culturali. Come in passato, la carità rivaleggia con la politica.
In breve, la povertà è certamente una realtà concreta e dolorosa per milioni di esseri umani nel mondo, ma è anche una costruzione sociale che nasconde questa realtà. La povertà è diventata un'idea teorica il cui significato si estende all'infinito e rende i poveri  non-identificabili. Il modo in cui "vediamo" e temiamo la povertà è il risultato di una costruzione sociale prodotta dai non-poveri. Lo sguardo politico percepisce i poveri in funzione delle preoccupazioni dell'epoca che non sono mai quelle dei più demuniti. La povertà funziona come uno specchio, uno strumento del pensiero politico per esporre il suo ideale. Ciò spiega perché il tema della povertà sia all'ordine del giorno in circostanze eccezionali e per ragioni specifiche, indipendentemente dalla povertà realmente esistente. 
La preoccupazione risponde piuttosto, all'occorrenza di una nuova politica e di nuove legittimità. Simmel (1908) è stato abbastanza radicale: la lotta contro la povertà risponde sempre ai bisogni dei non-poveri. I poveri non ne sono mai la finalità. Due argomenti rafforzano questa ipotesi. Prima di tutto, il cosiddetto problema della "femminilizzazione" della povertà. Tutta la documentazione ultima e attuale associa il problema della povertà sempre e drammaticamente alle donne. Sono "le più povere tra i poveri" o "il ritratto della povertà", così come le donne sono sempre una categoria a parte tra le disoccupate in ogni parte del mondo, e sempre in percentuale maggiore rispetto agli uomini. Ma, per una volta in più ancora, bisogna constatare che di tutto questo, in realtà non si sa mai niente di concreto. La tesi è fondata solamente se si elimina il fattore del reddito dalla definizione della povertà e ci si concentra sulla discriminazione universale di cui le donne sono vittime.
Non esistono vere statistiche monetarie sulla povertà delle  donne per la semplice ragione che questi dati si producono all'interno delle famiglie. Del resto, capita spesso nelle analisi che associano le donne alla povertà, che gli autori ammettano la mancanza di dati per provare e pronunciarsi su tale "femminilizzazione" della povertà. In questo campo, tutto sembra indicare che si tratti proprio e solo di una rappresentazione artefatta, voluta per l'uso politico. 
Il secondo argomento concerne la riflessione sulla povertà come problema "desolante" e "infamante". Ma per questo si tratta del principale problema della nostra epoca? Non ci sono buoni argomenti per pensare che la disuguaglianza, addirittura la ricchezza possa essere ben più problematica di una povertà che non si arriva neanche a definire? Come spiegare lo squilibrio lampante che esiste a livello accademico tra, da una parte, la pletora di studi sui poveri e, d'altra parte, il disinteresse per i ricchi? Contrariamente ai ricchi, i poveri sono assunti come oggetto scientifico, costituirebbero un'alterità supposta che permette uno sguardo esterno, obiettivo? La povertà non sarebbe che il risultato di uno sguardo caduto sul popolo, lo sguardo dei non-poveri? Tutte queste considerazioni incoraggiano a studiare la povertà come fatto politico per ricercare le ragioni che ne hanno fatto una priorità mondiale. Questo approccio non implica  affatto una reazione della realtà oggettiva della povertà, né il bisogno di combatterla. Al contrario: se si accetta l'ipotesi che il discorso sulla povertà possa avere una funzione politica dissociata dalla realtà delle persone povere, allora può essere utile analizzare la razionalità e la logica di questo discorso. Esaminando le definizioni della povertà, dovrebbe essere possibile mettere in evidenza le strategie per/contro di loro. 

Gang.

venerdì 22 giugno 2018

La società post-civile

La società post-civile


Che cos'è la società post-civile?


Nella Storia il concetto della società civile ha conosciuto un'evoluzione molteplice. Nel Rinascimento fu opposto al concetto di società naturale, nel senso di un ordine sociale organizzato e superiore, perché civilizzato e razionale. Il filosofo inglese Locke vi includeva lo Stato e per Adam Smith si trattava di tutto ciò che era socialmente costruito, ivi compreso il Mercato e lo Stato. Per Hegel era lo spazio sociale situato tra famiglia da un lato e lo Stato dall'altro. Marx, alienando e rovesciando l'Idealismo di Hegel, pervenne a una definizione di società civile in qualità d'insieme dei rapporti sociali, con i rapporti economici in posizione di preminenza e capaci di condizionare tutti gli altri rapporti possibili. Per Antonio Gramsci, infine, l'insieme dei rapporti sociali sono sì influenzati dai rapporti economici, ma nella sovrastruttura di Gramsci al di sopra dell'economia esistono due ordini di realtà, diversi e relativamente indipendenti: la società politica da una parte, e dall'altra la società civile costituita da istituzioni che inquadrano gli individui creando per loro formazione scolastica, culturale, ruoli lavorativi e sociali, con l'obiettivo di produrre un consenso sia a favore dei rapporti economici esistenti che della società politica dominante - queste istituzioni operanti (e costituenti) la società civile, per il filosofo italiano sono apparati ideologici: scuola, chiesa, media di comunicazione... È chiaro come quest'ultima concezione della società civile, proviene dalla rilettura di Machiavelli da parte di Gramsci, attraverso la quale è riuscito a colmare lo spazio fino ad allora lasciato vuoto tra Principe e Mercanti, ossia tra lo Stato e il Mercato.


La concezione borghese della società civile.

La Borghesia valorizza la società civile come un elemento essenziale della sua strategia di classe. Essa è il luogo dello sviluppo delle potenzialità dell'individuo e dunque lo spazio dell'esercizio delle libertà. Ora, tra queste, la principale è libertà di impresa, considerata del resto come la fonte di tutte le altre libertà. È l'impresa, quindi, il perno della società civile. Si devono articolare attorno a essa le grandi istituzioni a carattere ideologico per la riproduzione sociale: la scuola, le religioni, i media, come l'insieme del settore non commerciale (servizi pubblici) e soprattutto le organizzazioni volontarie destinate a supplire alle carenze del sistema. In questa prospettiva, il ruolo dello Stato è limitato alla fornitura del quadro giuridico sufficiente per garantire la proprietà privata e il libero esercizio di intrapresa, per assicurare il funzionamento della riproduzione sociale (insegnamento, salute...) e proteggere gli individui. Tutto ciò è descrivibile parlando di tre mani: la mano invisibile del Mercato, quella dello Stato destinata a garantire le regole del gioco e quella della carità che si occupa di quelli fuori dal sistema.
L'implacabile logica di questo pensiero si ricollega a quella dell'economia capitalistica di mercato. Infatti, per quest'ultima il mercato è un fatto naturale e non un rapporto socialmente determinato. Bisogna garantirne soprattutto il funzionamento nella più grande libertà possibile, senza ostacoli da parte dello Stato, e in funzione di un'etica rigorosa, cosa che permetterà al mercato di riempire al meglio la funzione di regolatore universale delle attività inter-umane. Non è necessario ricorrere a nessuna teoria del complotto, per spiegare questo fenomeno. La questione è più grave. Si tratta di una logica che invade il cuore e lo spirito delle persone più rispettabili.
Ma il mercato non è dissociabile dalla produzione, poiché sono beni e servizi che si scambiano. Ora, nel caso dell'economia capitalistica, i rapporti sociali di produzione stabiliscono un legame di classe, sottomesso inesorabilmente alla legge della competività. Allora, nella concezione borghese, rinforzare la società civile significa favorire la libertà di intrapresa, dinamizzare gli attori sociali imprenditoriali, ridurre lo spazio dello Stato e alla fine riprodurre il rapporto sociale che assicura una superiorità di classe, oggi globalizzata. Come il rapporto sociale, così quello di produzione e quello di scambio (il mercato) sono naturali, non ci sono alternative. Ne risulta una strategia molto coerente nei confronti della società civile. Si tratta di mettere a valore la rete di istituzioni che ne fanno la trama: gli apparati ideologici e le organizzazioni volontarie, offrendogli uno statuto privato. Ciò permette di canalizzare in maniera istituzionale la domanda sociale dei gruppi e delle classi fragili e di frammentarli. È relativamente facile cooptare alcune organizzazioni volontarie, religiose o laiche, soprattutto nelle azioni di sollievo della povertà.
 Gli effetti dell'entrata in scena di questa concezione della società civile sono notevoli. Siccome il mercato diventa la regola universale del funzionamento dei rapporti umani, definisce non solo il panorama dei consumi, ma anche il terreno culturale. Ne risultano una serie di spostamenti del politico verso il mercato, dello sviluppo verso la crescita, del cittadino verso l'individuo consumatore, dell'impegno politico verso i referenti istituzionali culturali (etnia, genere, religione,...). La società civile si spoliticizza, perché di fronte al mercato, la politica diventa sempre più virtuale. Alcuni movimenti sociali cercano esclusivamente nel proprio terreno, in rottura con la tradizione politica. Certe ONG sviluppano un'ideologia accanitamente anti-statale. I movimenti religiosi centrati sulla salvezza individuale e svuotati di protezione sociale si moltiplicano. Dunque, bisogna essere coscienti di ciò che significa la società civile nella concezione borghese. La similitudine del vocabolario non deve creare illusioni.

La concezione ingenua o angelica della società civile

.In questa prospettiva la società civile è composta dalle organizzazioni generate di solito da gruppi sociali fragili nella società attuale, da ONG, dal settore no-profit dell'economia e da istituzioni di interesse comune, educativo e di salute. È una sorta di terzo settore, accanto allo Stato, autonomo e suscettibile di fare da contrappeso. In una parola, si tratta dell'organizzazione dei cittadini, di tutti quelli che vogliono il bene e che desiderano cambiare il corso delle cose in un mondo di ingiustizia. Certo, le finalità perseguite dai componenti della società civile, in questo quadro di pensiero, rispondono a veri bisogni, ma questa concezione non sfocia in un altro ordine di rapporti sociali. È come se la società fosse composta da un ammasso di individui raggruppati in strati sovrapposti che rivendicano un posto equo in seno a essa, senza per questo riconoscere esplicitamente l'esistenza dei rapporti sociali creati dall'organizzazione capitalistica dell'economia, la cui riproduzione è indispensabile al loro mantenimento.
Un tale concetto di società civile permette di portare avanti delle lotte sociali e contribuisce alla denuncia degli abusi del sistema, ma non finisce in una critica della sua logica. Per questa ragione, diventa facilmente ricettacolo di ideologie anti-stataliste, interclassiste, culturaliste, utopiche nel senso negativo del termine e pur manifestando il desiderio di cambiare i paradigmi della società, a lungo termine è inefficace. Per alcuni versi, incrocia senza saperlo la concezione borghese della società civile e per ciò le istituzioni che condividono questa visione della società civile sono oggetto così facilmente di cooptazioni da parte delle multinazionali, della Banca mondiale o del Fondo monetario internazionale.

La concezione analitica e popolare della società civile

La parola analitica significa qui una lettura della società civile in termini di rapporti sociali, cosa che per se stessa è già un atto politico. Significa infatti che è un luogo dove si costruiscono le disuguaglianze sociali e che esiste all'interno delle istituzioni e delle organizzazioni che rappresentano gli interessi di classi molto divergenti. Non basterà cambiare i cuori per trasformare automaticamente le società, anche se un passo in questa direzione è importante.
 Senza dubbio, i rapporti sociali del capitalismo non sono più gli stessi del diciannovesimo secolo europeo e ciò comporta effetti significativi sulla società civile. I rapporti diretti Capitale/Lavoro sono deregolamentati dall'orientamento neoliberista dell'economia. Benché ciò non valga per tutte le società del Sud, l'insieme delle popolazioni è integrato indirettamente nel capitalismo attraverso i meccanismi macro-economici delle politiche monetarie, del debito, del prezzo delle materie prime. Le nuove tecnologie, la concentrazione delle imprese, la globalizzazione del mercato, la volatilità del capitale finanziario e diversi altri aspetti contemporanei del sistema economico, non hanno rotto di certo la logica del capitalismo, ma hanno contribuito a diffonderne gli effetti nello spazio e a ripartirli diversamente nel tempo. Esistono sempre meno frontiere per il capitale e le protezioni sociali resistono con difficoltà ai poteri di decisione che sfuggono agli Stati, mentre le loro conseguenze sociali si dispiegano su lunghi periodi.
Il rapporto sociale di sfruttamento del capitalismo è diventato meno visibile, perché più diffuso e ciò tocca le modalità delle lotte rispondenti, dei lavoratori che si definiscono prima di tutto come consumatori, dei gruppi sociali marginalizzati dal sistema economico che reagiscono in funzione delle apparenze di casta (i dalits in India), di etnia, di genere, senza nessun legame con le logiche economiche che sono l'origine della loro precarietà. Le lotte specifiche si moltiplicano, ma la maggior parte delle volte restano frammentate geograficamente o settorialmente, di fronte a un avversario sempre più concentrato.
Dunque, la società civile è modellata dal mercato nei rapporti ineguali. Lo spazio pubblico è invaso dalle forze economiche. I gruppi dominanti agiscono globalmente utilizzando gli Stati, non per ridistribuire la ricchezza e proteggere i più deboli, ma per controllare le popolazioni (migranti, movimenti sociali, società civile popolare) e servire il mercato. I meccanismi sono diversi e spesso progressivi, vanno dalle politiche monetarie ai trattati di libero scambio, dalle riforme giuridiche a quelle dell'insegnamento, dalla privatizzazione della sicurezza sociale a quella dei servizi sanitari, dalla diminuzione dei sussidi per la ricerca sociale a quella dei finanziamenti alle organizzazioni popolari, dalla soppressione della pubblicità alla stampa di sinistra al controllo delle comunicazioni telefoniche, da un indebolimento dei settori progressisti delle istituzioni religiose ad una messa sotto tutela delle ONG. In breve, da parte del mercato, un allineamento e un addomesticamento dello Stato e degli organi dell'ONU e un controllo della società civile, di cui il dinamismo e la pluralità sono ammessi e incoraggiati a patto che non rimettano in discussione in modo efficace il rapporto sociale capitalistico.

Quale società civile, quale spazio pubblico, quali alternative?

L'importanza degli avvenimenti che viviamo non deve farci dimenticare la storia. I movimenti sociali non sono nati ieri. Le resistenze al capitalismo, al colonialismo, alle guerre di conquista dei mercati, seminano la storia dei popoli. Il movimento operaio si è imposto come un paradigma delle lotte da quasi due secoli. Le rivolte contadine hanno scosso molte società, soprattutto nel momento dell'introduzione del capitalismo agrario. Innumerevoli popoli indigeni, chiamati oggi le prime nazioni, si sono opposti oggi alla loro distruzione culturale o fisica sotto i colpi dell'espansione mercantile o della conquista del loro territorio. I movimenti femministi, fin dal ventesimo secolo, hanno reagito di fronte al carattere specifico dello sfruttamento delle donne sul lavoro e alla loro esclusione dalla cittadinanza. Allora quali sono state le novità?
 Un primo elemento nuovo è l'apparizione nel panorama delle resistenze dei movimenti ecologisti. La distruzione dell'ambiente naturale prodotta da un rapporto commerciale con la natura, per nulla frenato da un socialismo che ha definito molto velocemente i suoi obiettivi in funzione dello sviluppo delle forze produttive per recuperare il capitalismo, e aggravata considerevolmente negli ultimi trent'anni durante la fase neoliberista dell'accumulazione capitalistica, ha provocato numerose reazioni. Sempre più persone, propongono il legame tra logica economica e problemi ecologici.
Durante la guerra fredda, si sono avuti numerosi movimenti pacifisti. Collegati alle tradizioni antimilitariste nate fin dalla fine del diciannovesimo secolo, hanno conosciuto una certa stagnazione perché i conflitti si sono localizzati al di fuori dei grandi centri della globalizzazione, ma avvenimenti come la guerra del Golfo, quella del Kosovo, o quella dell'Afghanistan hanno ravvivavo le memorie e ricordato che l'imperialismo economico non può fare a meno di un braccio armato, che si chiami NATO o Plan Colombia.
La moltiplicazione delle ONG, spesso è un termine nuovo per realtà pre-esistenti, che ricompongono una nebulosa di organizzazioni originate dalla società civile, è un'ulteriore caratteristica dei nostri tempi. La loro realtà è ibrida e ambivalente, da quelle promosse direttamente dal sistema dominante, fino a quelle che si fanno docilmente strumentalizzare, passando quelle che si identificano con le lotte sociali ed esprimono solidarietà Nord-Sud.
 “Vecchi movimenti sociali” di carattere sindacale o politico, “nuovi movimenti“ definiti da obiettivi che superano i rapporti di classe (donne, popoli indigeni, la pace, la difesa dell'ambiente, l'identità culturale...) pure essendovi inevitabilmente ancorati, le ONG; tutto ciò costituisce una vera profusione di iniziative in cui è talvolta difficile ritrovarsi. Tuttavia, perché la società civile dal basso possa agire efficacemente, sia a livello di ogni nazione che sul piano mondiale, occorrono criteri di analisi e di giudizio per agire efficacemente.
Il pensiero postmoderno si trova molto a suo agio in questa situazione, interpretandola come la fine di ciò che si definiscono, assimilando lo studio delle società alla linguistica: “le grandi narrazioni”, ovvero la fine dei sistemi e delle grandi strutture delle spiegazioni d'insieme. Tutto ciò è sostituito dalla storia immediata, dall'intervento diretto dell'individuo sul suo ambiente naturale, dalla moltiplicazione dei piccoli “racconti”, cioè dalle iniziative dei singoli. Per reazione (legittima) contro una modernità prometeica o un ragionamento totalizzante, si cade in una lettura atomizzata della realtà come esplosa, inspiegabile nella sua genesi, insignificante rispetto a un insieme storico o presente; in breve una società civile che è la somma di movimenti e di organizzazioni la cui semplice molteplicità basterebbe a contestare un ordine totalitario di natura politica o economica. Una fortuna per il capitalismo globalizzato, che è riuscito a costruire le basi materiali della sua globalizzazione come sistema grazie alle tecnologie della comunicazione e dell'informatica, vedere svilupparsi un'ideologia che annuncia la fine dei sistemi. Niente potrebbe essergli più funzionale. Per quanto sia fondamentale, la critica della modernità (quella veicolata dal capitalismo) e il contributo del postmodernismo non possono aiutarci in alcun modo ad analizzare a società civile contemporanea né soprattutto contribuire a renderla risorsa di resistenze e lotte efficaci. La frammentazione di queste ultime dipende al tempo stesso dalle conseguenze e dalle strategie del sistema capitalistico.
Il criterio di analisi delle molteplici componenti della società civile dal basso può essere solamente il loro carattere antisistemico, o la misura in cui ciascuna di esse, movimenti sociali od organizzazioni non governative, contribuiscono a rimettere in discussione nel campo che li è proprio la logica del sistema capitalistico. Ciò suppone la capacità di ricollocare il pensiero e l'azione specifica in un quadro generale. Si tratta di comprendere in che modo i contadini senza terra sono più che mai esclusi quando il suolo diventa un capitale, perché i popoli indigeni sono le prime vittime dei programmi di aggiustamento strutturale, perché le donne portano il peso di una povertà che aggrava i rapporti patriarcali. Bisogna potere contrastare che le classi medie sono rese più fragili dalle politiche monetarie e dalle transazioni finanziarie speculative, che l'organizzazione della sanità diventa fatiscente con la mercificazione del settore, che i bambini sono cacciati dalle scuole a causa della concezione elitaria dell'insegnamento, che una politica sociale è impossibile grazie al peso del debito estero. È necessario scoprire che le culture sono schiacciate da un'americanizzazione sistematica, che numerosi mezzi di comunicazione sono addomesticati dagli interessi economici, che i ricercatori sono limitati dalle esigenze di redditività, che l'arte è ridotta al suo valore di scambio, che l'agricoltura è dominata dalle multinazionali della chimica o dell'agrobusiness e che l'ambiente naturale si degrada esclusivamente sotto l'effetto di uno sviluppo definito in termini di crescita. Ora, tutto ciò deriva, in un modo o nell'altro, dall'appropriazione della ricchezza legata alla logica del mercato capitalistico.
 Da qui l'esigenza per i movimenti e le organizzazioni della società civile dal basso di delegittimare il sistema economico dominante. Non si tratta difatti, solamente di condannare i suoi abusi, cosa che fanno le istituzioni etiche come le Chiese cristiane o i portavoce delle grandi religioni, ma anche alcuni protagonisti del sistema che comprendono l'utilità di queste pratiche che mettono in pericolo la stessa economia capitalistica. Bisogna denunciare la logica con cui si costruisce e le sue pratiche, che terminano necessariamente su delle contraddizioni sociali, peggiori, sull'impossibilità di rispondere alle funzioni essenziali dell'economia, cioè assicurare le basi materiali necessarie alla vita fisica e culturale di tutta l'umanità.
Infine, è necessario mettersi alla ricerca di alternative. Non dei palliativi che possono a breve termine alleggerire situazioni di miseria, né delle misure irrealistiche che danno l'illusione di uscire da un sistema che, come le liane delle foreste tropicali, ricresce in una o due stagioni. Neanche delle alternative all'interno del sistema, come la ”terza via”, così apprezzata negli ambienti riformisti che inseguono l'illusione di umanizzare il capitalismo. Ma in funzione della conquista di un'organizzazione postcapitalistica dell'economia; di sicuro un progetto a lungo termine, ma indispensabile da definire e che, al tempo stesso, comprende una dimensione utopica (il tipo di società che si vuole costruire), dei progetti a medio termine e degli obiettivi a breve la cui elaborazione è compirto della società civile dal basso.

Rupert Gang

domenica 10 giugno 2018

Racconto: Attenti Ragazzi, fuori gira brutta gente

Racconto breve, narrativa autoconclusiva contro l'omofobia scritto da Rupert Gang - scaricati il PDF da Patreon, costa solo 1.00 euro!



giovedì 19 aprile 2018

GangDisclaimer-importante

Rupert Gang è un personaggio inventato, Éttòre Ditesti, no; quest'ultimo è uno 
pseudonimo o al limite un marchio similcommerciale.
Qui si dà l'immagine di questo personaggio-Gang-inventato piuttosto di una serie
di produzioni editoriali, e cioè il senso, la percezione, l'idea e la proposta di una 
letteratura attuale. Rupert Gang nasce da una tesi, la quale è anche una teoria letteraria, 
perciò Gang è teorico, virtuale, incompiuto, sfuggente e puramente apparente;
una sperimentazione perpetua e pertinace martellamento della proposta per 
dimostrare la sua concretezza.
Gang può farsi reale, è sufficiente contattarlo qui: